Uno dei problemi meno raccontati ma più rilevanti della sanità pubblica riguarda la distanza crescente tra costi e risorse a disposizione della prassi medica: la scienza avanza e sviluppa tecniche diagnostiche e terapie sempre più sofisticate e costose, ma i fondi a disposizione dei servizi sanitari fanno fatica a tenere il passo. Il risultato è che tutti noi pretendiamo esami rapidi e tecnologicamente avanzati e giustamente protestiamo quando non li otteniamo nei tempi previsti.
Ovviamente, a farne le spese sono soprattutto i paesi poveri, dove anche una macchina per la mammografia è merce rara e non si possono avviare programmi di diagnosi precoce ormai routinari nel mondo ricco, come gli screening oncologici contro il cancro al seno che salvano migliaia di vite ogni anno. Fortunatamente, ci sono medici che studiano come conciliare l’efficacia clinica con le scarse risorse locali. In India, ad esempio, nel 2021 ha fatto scuola uno studio ventennale che ha dimostrato che l’esame clinico del seno, condotto periodicamente da operatrici competenti e formate al dialogo con le pazienti, raggiunge ottimi risultati in termini di minore mortalità senza ricorrere a apparecchiature sofisticate.
Anche in paesi abbienti come il nostro la medicina sempre più tecnologica e costosa impone dolorosi compromessi. Il caso più comune riguarda le macchine per la risonanza magnetica. Sempre più esami le richiedono, dall’oncologia alla neurochirurgia, perché consentono diagnosi accurate senza usare radiazioni pericolose o sostanze invasive. Ma una macchina per la risonanza magnetica costa mezzo milione di euro e non se ne trovano molte nelle sgarrupate strutture sanitarie italiane. Si tratta di dispositivi basati su sofisticati materiali superconduttori e assai dispendiosi dal punto di vista energetico. La loro scarsità è una delle ragioni delle interminabili liste di attesa, che costringono ad aspettare anche un anno per una risonanza non urgente in una struttura pubblica.
Il Pnrr avrebbe dovuto alleviare la carenza di macchine e accorciare le liste d’attesa, perché stanziava fondi per acquistarne qualche decina in tutto. Ma il governo Meloni ha ottenuto dalla Commissione europea la possibilità di rinviare l’acquisto delle grandi apparecchiature dalla fine del 2024 alla metà del 2026, nella famigerata «rimodulazione» del recovery plan.
Dovrebbe interessare anche l’Italia, dunque, la pubblicazione di uno studio sul numero odierno della rivista Science firmato dai ricercatori dell’università di Hong Kong. L’ingegnere biomedico Ed X. Wu e i suoi colleghi hanno messo a punto una macchina in grado di realizzare risonanze magnetiche con un basso consumo energetico e senza la necessità di chiudersi un sarcofago come invece avviene con le macchine attuali. La loro tecnologia usa un campo magnetico molto più debole (0,05 Tesla invece degli 1,5 Tesla delle macchine tradizionali) e richiede la stessa corrente di un asciugacapelli. Per realizzarla, i ricercatori cinesi hanno compensato la minore precisione fornita dal campo magnetico debole con l’uso spinto dell’intelligenza artificiale, in grado di ricostruire le immagini con la risoluzione necessaria. La risonanza magnetica low cost potrebbe consentire esami accurati in contesti difficili e in zone remote, dove magari l’unica corrente elettrica è quella garantita da un gruppo elettrogeno. È una speranza per popolazioni che oggi non possono accedere alla sofisticata medicina del primo mondo. Con l’aria che tira, tuttavia, le tecnologie sviluppate per i paesi poveri potrebbero rivelarsi preziose anche da noi.