Ilaria Cucchi (Alleanza verdi-sinistra) è appena tornata da Budapest, dove ha potuto constatare di persona il trattamento che l’Ungheria di Orbán continua a riservare a Ilaria Salis.

Senatrice, di nuovo le catene, di nuovo il guinzaglio. Nonostante il polverone sollevato dalla prima udienza, in Italia e in Europa. È soltanto il modo di trattare i detenuti in Ungheria o quello che sta accadendo a Salis ha un significato particolare?

Significa che in 13 mesi il governo italiano non ha fatto nulla di concreto per sottrarla a condizioni inumane e degradanti. Ormai questo è sotto gli occhi di tutti. In aula c’erano cinquanta giornalisti e sette parlamentari dell’opposizione mentre non si è visto nessun esponente della maggioranza che governa il nostro paese. Avevamo tante speranze che Salis potesse ottenere i domiciliari, ma l’esito dell’udienza ci lasciato un’angoscia profonda. A me personalmente soprattutto perché ho potuto vedere nei suoi occhi tutta la sofferenza che sta vivendo, trattata in quella maniera da più di un anno.

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani si era impegnato a vigilare sul trattamento riservato alla cittadina italiana. A Budapest non conta nulla il governo o non conta nulla l’Italia?

L’Italia non conta nulla e il governo non sa imporsi. Gli strumenti per far sentire il nostro peso ci sono, ma qui si è messo in conto che Salis resti in carcere fino al giudizio di primo grado e all’appello, per poi essere mandata soltanto dopo, forse, ai domiciliari. Il silenzio delle istituzioni è intollerabile.

Cosa dovrebbero fare?

Far valere gli accordi internazionali che consentirebbero a Salis di affrontare il processo agli arresti domiciliari in Italia, a casa sua. Invece siamo costretti a prendere atto che non sono stati concessi neanche in Ungheria, nonostante il suo avvocato abbia dimostrato che ricorrevano tutte le condizioni.

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Ma un paese in cui i nazisti sfilano sovvenzionati dal governo o minacciano gli avvocati di un’antifascista fuori da un tribunale, un paese che tratta i detenuti in quel modo, può far parte dell’Unione europea?

Assolutamente no ed è arrivato il momento di agire di conseguenza. Dobbiamo batterci e far sentire il nostro peso.

Come? Avete in mente delle azioni a livello Ue?

Noi continueremo a tenere alta l’attenzione sul caso, che è il primo passo. Visto che l’Italia non intende ascoltarci ci rivolgeremo all’Europa, in tutte le sedi possibili.

La destra vi accusa di politicizzare la situazione e così di fare un danno a Salis.

I diritti non hanno bandiera, né colori. Noi non stiamo facendo politica sulla pelle di nessuno. Stiamo semplicemente portando la nostra presenza e il nostro sostegno.

Se il giudice italiano nega di dare esecuzione al mandato d’arresto europeo per un altro ricercato nell’ambito della stessa vicenda – affermando che in Ungheria manca la proporzionalità della pena, che le condizioni carcerarie sono indegne e che c’è un pregiudizio accusatorio – il problema per Salis è giuridico o politico?

La questione, chiaramente, è diventata politica.

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Non sappiamo ancora cosa ne pensa Salis, ma si è parlato di una sua possibile candidatura alle europee. L’elezione le garantirebbe l’immunità. Lei la metterebbe in lista?

Io credo che l’ultimo pensiero di Salis sia scendere in politica. Credo che adesso per lei sarebbe un danno enorme.

E se fosse l’unico modo per farla tornare in libertà?

In questo momento è una discussione che la danneggia.