«A fine anni Sessanta raccoglievamo gli abbonamenti per il manifesto con Fabio Mussi, eravamo affascinati dalla figura di Rossana Rossanda», racconta Massimo D’Alema, durante la presentazione ieri alla Camera del secondo album per i 50 anni del giornale, dedicato agli anni Ottanta. «Ma alla fine decidemmo di non seguirli, Mussi diceva che “extra ecclesiam nulla salus”».

L’ex leader Ds racconta il suo rapporto intenso con il giornale, «rendo omaggio per quello che avete saputo fare, per la resilienza e la capacità di tenere vivo un punto di vista critico sulla realtà». Luciana Castellina confessa: «Non avremmo mai immaginato di arrivare al mezzo secolo di vita…». Norma Rangeri inquadra questo secondo album (dopo quello sui Settanta uscito il 28 aprile) dedicato al decennio della controrivoluzione di Reagan e Tatcher, segnata dal «rovesciamento dei rapporti di forza tra capitale e lavoro».

«Un decennio segnato anche dalle sconfitte della sinistra come il referendum sulla scala mobile e la marcia dei quarantamila a Torino». Tanto che Franco Fortini, ricordando il filosofo tedesco Theodor W. Adorno, scrisse su queste pagine «della debacle del pensiero critico, l’impossibilità di denunciare ciò che il senso comune indicava come “progresso”».

Qualche raggio di luce nella nebbia, dice Rangeri, i movimenti delle donne, quelli per l’ambiente, poi lo tsunami del crollo del Muro, la fine del Pci. «Un decennio drammatico di arretramento», coglie la palla D’Alema. «Ma arretrammo combattendo, non fu una rotta, Berlinguer interpretò quella fase cercando di dare al partito un’identità più moderna, lanciando sguardi verso l’avvenire». «La sua morte cambiò la nostra vita», racconta l’ex leader Ds, «ci trovammo senza un padre politico».

Nell’album ci sono i due articoli in morte del leader del Pci, quello affettuoso di Luigi Pintor e quello assai più duro in cui Rossanda, «togliattianamente» inizia elencandone gli errori, dice D’Alema, e poi conclude ricordando che «era un comunista». «Lui aveva attenuato la crisi del Pci», ma dopo la sua morte «esplose». «Per noi il crollo dell’Urss fu anche una liberazione da un peso enorme», confessa, «vivemmo la svolta non come ammissione di un fallimento ma come un nuovo inizio».

E qui D’Alema racconta un aneddoto, una cena con Gorbaciov e la moglie a Roma, a metà anni Novanta. «Raissa si lamentava della corruzione in Russia, ce l’aveva con Eltisn, io feci una battuta infelice delle mie: “Caro Michail Sergeevic, forse bisognava essere più prudenti?”. Toccai un nervo scoperto, lui mi diede una risposta solenne: “Quel mondo andava abbattuto”».

«Ma dagli anni Ottanta uscimmo in piedi», dice l’ex segretario. «Nel 1996 per la prima nella storia dell’Italia unita la sinistra ha vinto e ha governato, il declino comincia dopo». Certo, gli anni della transizione post Pci, «furono condizionati negativamente dal nostro rapporto con il Psi, e i torti non erano tutti da una sola parte».

Ma ecco che torna il rapporto col manifesto, con il famoso titolo del 1983 «Non moriremo democristiani» e l’editoriale in cui Pintor invita comunisti e socialisti a collaborare contro «l’avversario da battere». «Mi indignai leggendolo», ammette D’Alema. «E invece Pintor aveva scritto una cosa profonda, di cui avremmo dovuto tenere conto».

«Quanto è mancata una discussione corale sull’Italia», interviene Castellina. «Sarebbe ora di farla». La fondatrice ricorda il duplice ruolo del quotidiano, nelle battaglie culturali e nelle lotte operaie. Ed è su questa capacità che Schlein vede un messaggio per la sinistra del presente: «Saper saldare le battaglie sociali e civili, unire la lotte».