Che il Documento di Economia e finanza (Def) fosse stato scritto sull’acqua dal governo Meloni lo sapevamo. Ma che le sue stime farlocche sarebbero state superate dopo due settimane dal varo, ancora prima della sua approvazione da parte del parlamento, è un primato. Lo ha confermato ieri la nota sull’indebitamento netto e sul debito della pubblica amministrazione pubblicata dall’Istat.

Il deficit del 2023 non è il 4,3% del Pil come ha scritto il governo nel Def 2023, né al 5,3% come ha detto nella NaDef dopo, e nemmeno al 7,2% di 14 giorni fa. È al 7,4% del Pil, cioé 4,649 miliardi in più rispetto a un mese e mezzo fa. La causa è il superbonus, già definito «radioattivo» dal ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti. E non è finita. Perché se sarà la scelta la via della rateazione dei crediti d’imposta edilizi in 10 anni, e non in 4, il debito pubblico calerà nel prossimo triennio, ma aumenterà dopo quando al governo ci potranno essere altri. A parlare di un «valore di oltre cinque volte superiore a quanto il Def 2023 prevedeva» sul deficit a causa del superbonus è stato ieri il capo dipartimento Economia e Statistica della Banca d’Italia, Sergio Nicoletti Altimari, nel corso delle audizioni sul Def in corso alla commissione Bilancio.

Ieri sera in audizione Giorgetti, che ha già scaricato le responsabilità della situazione del deficit sul governo Conte 2 che ha concepito il superbonus, ha detto che «la revisione del deficit del 2023 al 7,4% non incide sulle previsioni contenute nel Def, in quanto già scontate nel profilo del livello del debito in percentuale sul Pil». Lo scenario tendenziale sul deficit/Pil è confermato al 4,3% del Def. Tutto è rinviato all’entrata in vigore delle nuove regole del patto di stabilità Ue. Una politica economica arriverà «entro l’estate». Per ora «ogni previsione potrebbe essere superata da eventi». Giorgetti ha ammesso che la prossima Commissione Ue farà partire una procedura d’infrazione per deficit eccessivo. E, a sentire l’Ufficio parlamentare di bilancio, sarà l’antipasto dell’austerità. Ci sarà un aggiustamento strutturale minimo dello 0,5% di Pil ogni anno. Il debito sarà ridotto dell’1,8.

Questa sospensione dell’attività programmatica dell’economia non nasconde i problemi. Ieri Bankitalia ha sostenuto che un’ulteriore proroga del taglio del cuneo fiscale, il cavallo di battaglia del governo, «accrescerebbe l’incertezza sull’evoluzione futura dei conti pubblici». In un’altra audizione l’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb) ha detto che non ci sono notizie certe di quanti miliardi serviranno per rifinanziare le politiche esistenti, a cominciare dal costosissimo «taglio al cuneo fiscale» che supplisce solo molto parzialmente alla mancanza degli aumenti di stipendi veri. Nel Def per finta si parla di 19,9 miliardi nel 2025, a salire nei successivi, ma non si conoscono le misure precise. «Mancano all’appello a essere ottimisti almeno 25 miliardi ed è solo per confermare l’esistente, senza cambiare nulla – ha detto Christian Ferrari (Cgil) – La mancanza del quadro programmatico del Def è un grave vulnus democratico». La carenza di informazioni, coerenti con il modo in cui è stato concepito dai governi precedenti, riguarda anche il Pnrr di cui tutti ieri in audizione hanno chiesto un’accelerazione. Per la Corte dei conti la gestione delle finanze sarà difficile e occorrerà fare tagli ed essere «selettivi», anche per trovare nuove risorse per gli investimenti quando il Pnrr sarà chiuso nel 2026. Sempre che produca gli effetti sperati. E nemmeno questo è chiaro a nessuno.

E poi c’è il problema della crescita, prevista dal governo all’1% quest’anno. Mentre Bankitalia ha confermato che sarà allo 0,6% (+0,8% corretto per le giornate lavorative), per crescere all’1% nei prossimi due anni. Il problema non è solo il superbonus, ma la politica economica. C’è solo un’idea: rinviare tutto a dopo le Europee, confidando nel voto alle destre e in una nuova Commissione che farà la grazia. Nel frattempo, meglio mettere la testa sotto la sabbia e aspettare la pioggia. Il futuro non si conosce, come anche il passato. ro.ci.