La linea del fronte della guerra senza quartiere contro gli «Israel-Hasser» («odiatori di Israele») dichiarata dalla ministra dell’Interno, Nancy Faeser, è arrivata ormai a 150 metri dalla cancelleria federale.

Lo scontro iniziato sabato scorso con lo sgombero forzato del “congresso palestinese”, culminato con il clamoroso veto al visto di ingresso in Germania per il medico Ghassan Abu Sittah e l’ex ministro greco Yannis Varoufakis, si consuma ora nella tendopoli delle associazioni pro-Gaza sull’enorme prato di fronte al palazzo del Reichstag: il luogo più affollato di turisti di Berlino.

Spray al peperoncino, calci e spintoni, urla, le sirene di due ambulanze, sette uomini e una donna caricati sul cellulare della polizia per «incitamento all’odio antisemita e resistenza alla forza pubblica». Così, domenica sera alle 18.30, dopo che un cittadino giordano di 29 anni avrebbe gridato il bannatissimo slogan «From the River to The Sea», almeno stando al rapporto di polizia peraltro coincidente con la cronaca del dorso locale del gruppo Bild.

«Una folla ingestibile ha assalito con provocazioni e sputi gli agenti formando una catena umana per difendere l’uomo dall’arresto. Uno sconosciuto ha infine aggredito un paramedico che prestava soccorso a un contuso, prima di fuggire. In totale risultano 18 feriti: 13 odiatori di Israele e 4 poliziotti» riporta il quotidiano locale BZ (la Berliner Zeitung di orientamento ultraconservatore del gruppo Bild).

Non un cenno sulla causa del sit-in di protesta delle diverse associazioni che rappresentano i palestinesi a Berlino battezzato «Occupazione contro l’occupazione», da pacifico diventato improvvisamente violento e pericoloso; mentre l’epilogo del tafferuglio, in tarda serata, obbliga almeno ad aggiornare la nota ufficiale. «I manifestanti fermati, dopo l’identificazione, sono stati rilasciati».

Caso chiuso, a parte gli strascichi giudiziari. Se non fosse che a Berlino si apre il dibattito pubblico sui metodi della ministra Faeser, ospitato sul giornale nazionale di aria progressista che si chiama anch’esso Berliner Zeitung. «Il divieto all’evento anti-israeliano – il “congresso palestinese” – della scorsa settimana fa scalpore. Si tratta forse di un precedente per limitare la libertà di espressione?» domanda l’editoriale della Berliner Zeitung mettendo a confronto le opposte posizioni.

Da un lato Anja Dierschke, capo ufficio stampa della polizia, difende lo sgombero del congresso rivelando il momento in cui è stata presa la decisione: «Siamo intervenuti quando in diretta-streaming si è collegato un oratore con divieto di attività politica in Germania. Il rischio era che si potessero diffondere contenuti antisemiti e negazionisti dell’Olocausto. In ogni caso, vedremo che decisione prenderà il tribunale, visto che organizzatori ci hanno fatto causa».

Dall’altro Nadja Samur, avvocata delle associazioni palestinesi, denuncia l’azione «sproporzionata e illegale» ma anche come «ogni tentativo di proteggere il congresso da eventuali infiltrazioni è stato respinto dalla polizia». Si aggiunge a Ahmed Abed, legale della Linke convinto dell’«assenza di qualunque base giuridica» per vietare il congresso.

Il raduno pro-Palestina teoricamente avrebbe dovuto svolgersi nella hall dell’ex aeroporto di Tempelhof, che si trova di fianco alla centrale della polizia. Nella lista degli organizzatori e partecipanti anche molti ebrei che si oppongono al massacro di Gaza.

Spicca a esemplare dimostrazione dell’inflessibile zelo del governo Scholz nella declinazione del «senza se e senza ma» nella lotta agli «Israel-Hasser», l’incredibile immagine del giovane con la kippah sulla testa ammanettato dagli agenti di polizia nel corso del blitz al congresso, intervento definito dalla ministra Faeser come «giusto e necessario».