Se le restrizioni all’aborto recentemente annunciate in Florida (divieto dopo la sesta settimana di gravidanza) avevano complicato la strategia elettorale dei repubblicani, la proibizione assoluta promulgata mercoledì in Arizona, potrebbe rivelarsi addirittura catastrofica. Il “proibizionismo riproduttivo” che si va diffondendo negli stati rossi, circa la metà del paese, è effetto ritardato della sentenza Dobbs con cui l’anno scorso la Corte suprema ha abrogato il diritto costituzionale all’interruzione della gravidanza, un atto a lungo reclamato dal movimento pro vita e dall’ala integralista dei conservatori, infine messo in pratica dalla super maggioranza di togati reazionari sul massimo tribunale.

Nei mesi intercorsi Trump si è spesso vantato con la base evangelica di aver reso possibile questo agognato risultato, avendo personalmente firmato la nomina di tre giudici selezionati per questo preciso scopo. Ma gli sviluppi di questi giorni stanno dimostrando come si sia trattato di una vittoria di Pirro e l’ex presidente, uomo comunque dallo spiccato istinto politico, sta, non a caso, tentando di fare parziale retromarcia.

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Malgrado la forte involuzione conservatrice espressa dal suo movimento, una chiara maggioranza di americani è infatti contraria all’abrogazione di diritti acquisiti da mezzo secolo. Ora che la questione non è più semplice considerazione ideologica o accademica, e si moltiplicano i casi di donne denunciate, costrette a riparare in altri stati, a rischiare la vita, o quelli di minorenni obbligate a portare a termine gravidanze prodotte da stupri, si profila un’ondata di rabbia che promette di investire, alle urne di novembre, i repubblicani ritenuti responsabili.

È come se Donald Trump, che ha assecondato l’ala fanatica per tornaconto politico, non avesse previsto le conseguenze pratiche. Per la verità, già da qualche tempo ha preso a rammentare ai sostenitori che “le elezioni bisogna anche vincerle.” In quest’ottica lunedì scorso ha pronunciato un discorso pilatesco pensato per disinnescare la bomba ad orologeria. Senza rinunciare a rivendicare la sentenza Dobbs, l’ex presidente ha sostenuto che la decisione è stata presa nello spirito della sovranità dei singoli stati. In base all’originario e sacrosanto federalismo, questi avrebbero ora potuto legittimamente esprimere la volontà dei propri cittadini. Certamente, ha aggiunto, lo avrebbero fatto in modo ragionevole.

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È difficile immaginare una smentita clamorosa come quella che si sarebbe prodotta nemmeno 24 ore dopo, in Arizona. La corte suprema dello stato del sudovest ha sostenuto una legge del 1864 che vieta ogni tipo di aborto, salvo in caso di estremo pericolo per la vita della madre, e impone l’arresto e la detenzione di chiunque aiuti a procurarlo. Una tegola sulla strategia del distanziamento che inchioda causalmente Trump a una involuzione ormai paradossale. La legge in questione risale a quasi mezzo secolo prima dell’anno in cui l’Arizona venne ammessa all’Unione come quarantottesimo stato, quando si trattava di un semplice territorio di frontiera con seimila abitanti (censimento del 1870), in gran parte uomini dalle prevalenti tendenze confederali.

Gli “states’ rights”, a proposito, sono la stessa dottrina costituzionale che venne invocata quando gli stati del Sud vollero “esprimere la volontà di propri cittadini” prima con la secessione e la guerra civile, e successivamente istituzionalizzando la segregazione razziale in cento anni di apartheid.

La sentenza dell’Arizona ha insomma dato ai democratici l’opportunità di addossare didascalicamente a Trump la responsabilità di un letterale secolare balzo indietro e sbugiardare la sua pretesa di “ragionevolezza.” Un regalo su un piatto d’argento di cui ha subito approfittato la campagna Biden, spedendo in Arizona Kamala Harris per denunciare l’oscurantismo degli avversari, mentre sui social fioccavano spot elettorali su questo tema.

È assicurato dunque che la questione rimarrà al centro della strategia democratica per mobilitare la base fino a novembre. In senso più lato la deriva proibizionista degli stati rossi sull’aborto sta evidenziando in modo icastico l’insostenibilità istituzionale di una nazione divisa in statuti diametralmente incompatibili. Una fotografia nitida delle estreme conseguenze di un’intransigenza Maga – Make America Great Again – non solo sull’aborto ma anche su immigrazione, istruzione pubblica, religione e il concetto stesso di modernità, che non lascia spazi a mediazioni o compromessi, ma rischia invece di dilaniare il paese.