Quando il mio amico Matteo Parlato mi ha proposto di fare insieme un documentario su suo padre, a cui avevano chiesto una biografia che non aveva voglia di scrivere, ho accettato non sapendo bene cosa aspettarmi e bene o male nemmeno Matteo lo sapeva.

Ma quando io, lui e il video operatore Roberto Salinas abbiamo cominciato a girare, abbiamo capito subito che magari il montaggio l’avremmo fatto noi ma la regia era di Valentino: accendevamo la telecamera e Valentino sorridendo cominciava a parlare.

È stato il documentario più bello che abbia mai fatto.

Per una settimana intera l’abbiamo seguito come un’ombra mentre lui ci raccontava di sé, della storia d’Italia, del comunismo, della passione, seguendo un filo cronologico per poi accendersi una sigaretta e dirci qualcosa di inaspettato.

A fine giornata cenavamo insieme e, grazie alla presenza di Matteo, Valentino si fidava di noi, a telecamera spenta continuavamo a chiacchierare fino a tardi, nello stesso tono che aveva tenuto durante le riprese.

Durante il montaggio non ha mai voluto vedere cosa stavamo combinando della sua biografia, anche quando montavamo a casa sua a due passi da lui; e poi abbiamo cominciato a presentare il documentario in giro per l’Italia.

Ad ogni appuntamento per la proiezione di Bric a Brac la sensazione che avevamo noi tre era quella di essere il gruppo di supporto, perché la rock star era Valentino, cosa di cui ridevamo insieme a lui, accendendo un’altra sigaretta e versandoci un bicchiere di vino.

«Quello che posso dire di me – ci aveva detto ridendo – non è di essere un uomo poco appassionato, ma poco serio».