Rossana Rossanda ci è stata maestra di vita e di politica, maestra impegnativa e insostituibile.

Comunista, la ragazza del secolo scorso lo ha attraversato sempre cercando la rivoluzione, nella pratica politica e sociale come nella teoria critica. Nel PCI, nel Manifesto, in tutto il suo cammino non ha mai smesso di cercare. Il confronto con le donne della cultura di genere, col femminismo ha innervato sul suo marxismo eretico un orizzonte di liberazione umana ancor più aperto.

Nella classe operaia, nei nuovi soggetti che sono emersi contro l’ordine capitalistico, Rossanda ha visto i protagonisti della liberazione possibile e ne ha condiviso il cammino nei successi come nelle sconfitte, fondando e rifondando il lavoro politico. Provando e riprovando, come aveva invitato a fare Gramsci.

Rossana ha dimostrato che ciò che era sembrato impossibile nelle organizzazioni del movimento operaio, come in una sorta di aut-aut della storia, poteva diventare possibile, si poteva cioè conciliare la fedeltà con la libertà. E per farlo ha dovuto passare per prove dure e difficili.

Ha dovuto sottrarre la fedeltà al partito per riporla nel comunismo e ha dovuto intendere la libertà, anche quella del dissenso, dell’eresia, come ricerca della liberazione da ogni forma di oppressione e di alienazione.

Per questo, a ogni rottura, a ogni imprevisto che ha fatto irruzione nella storia, fino alla rivolta operaia e studentesca del ‘68-‘69, Rossana Rossanda si è impegnata a intenderne la lezione e a aiutarci a farlo.

Oggi ci sentiamo più soli. Ma per lei, per Rossana Rossanda, vale, interamente, la formula con la quale Paolo di Tarso ha riassunto la propria esistenza: “Ho fatto la giusta battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede”. 

Grazie Rossana, la terra ti deve essere lieve.