Il fatto politico-economico accaduto ieri non è stato il varo di un Documento di economia e finanza (Def), privo più del solito di contenuti programmatici realistici e come sempre scritto sulla sabbia, ma il primo vero scontro tra il governo Meloni e la Commissione Ue sulla scadenza del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) nel 2026. Protagonista è stato il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti che, cosciente dell’impossibilità di spendere l’intera cifra del Pnrr entro la data stabilita, ha ribadito la richiesta di una proroga. Respinta dal commissario Ue all’economia Paolo Gentiloni e dal vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis.

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 “Diversi Stati membri – ha detto Dombrovskis – dovranno recuperare i ritardi nel 2024, mentre ci avviciniamo al 2026: la data limite per lo strumento. Mentre il tempo passa, dobbiamo andare avanti con l’attuazione per garantire che tutte le riforme e gli investimenti siano adeguatamente attuati entro la data limite’. Quanto al via libera di Roma alla riforma del Mes, Dombrovskis ha aggiunto: “Non ci arrendiamo. Se fossimo in grado di convincere i nostri amici italiani lo faremmo”.

“Gentiloni [e Dombrovsis] fa(nno) i commissari, la Lagarde fa la governatrice della Bce e io faccio il ministro dell’Economia – ha risposto Giorgetti – Posso esprimere il mio auspicio? È una bestemmia? Tra colleghi ministri tutti quanti ci diciamo questo. La Commissione rimane ferma sul punto. Chissà, magari la nuova Commissione valuterà diversamente”.

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Ecco il punto. Sul piatto delle elezioni europee di giugno, che le destre italiane sperano di vincere a man bassa anche nel resto del globo terraqueo europeo, non c’è solo una trattativa sulla legge di bilancio, ma anche una modifica sostanziale del Pnrr. “Io la proposta l’ho già portata, mi consigliano di non insistere io invece insisto – ha aggiunto Giorgetti – da quando è stato approvato il Pnrr è scoppiata una guerra in Europa, forse qualcuno non se ne è accorto. Sarà sicuramente un argomento di dibattito nei prossimi mesi o nei prossimi anni. Non vorrei che Bruxelles faccia come si fa a Roma che la proroga si fa il giorno prima”.

Il nodo del Pnrr, il sacro Graal dell’economia italiana, è largamente ignorato dal «dibattito» politico. I suoi problemi strutturali, e ideologici, rimossi da una politica che è ugualmente corresponsabile. Ma, all’ombra dei suoi tecnicismi, l’uscita di Giorgetti mostra la preoccupazione del governo: dal Pnrr non arriveranno i presunti effetti miracolosi promessi né nella manovra di quest’anno, né nelle prossime.

Secondo l’analisi di Openpolis sulla quarta relazione del governo al parlamento sull’attuazione del Pnrr, entro fine 2026 il governo dovrà spendere 151,4 miliardi di euro rimasti, cioè il 78% delle risorse complessive a disposizione. Un impegno enorme, spropositato. L’incertezza è tale  che nemmeno l’esecutivo dispone ancora di dati certi sullo stato di attuazione dei progetti già partiti. Curiosità: il ministero delle infrastrutture guidato da Salvini è quello più indietro, deve spendere oltre 33,8 miliardi di euro.

Quanto al Def, la pratica è stata archiviata ieri con una previsione della crescita del prodotto interno lordo (Pil) tagliata all’1%. Era stata fissata all’1,2% dall’aggiornamento del precedente Def. Stima già smentita dalle previsioni – tra gli altri – di Bankitalia che l’ha quasi dimezzata: solo uno 0,6% per il 2024. Il debito è stato previsto dal governo al 137,8% quest’anno e aumenterà nei prossimi, mentre il deficit resta al 4,3%. Più che numeri questi sono auspici. Nemmeno il governo è sicuro che gli effetti del superbonus siano stati neutralizzati. Giorgetti ha detto di attendere i conti dell’Eurostat per capire quali saranno le conseguenze al rialzo sul deficit e sul debito.

”Sulla decisione di Eurostat sono un giocatore che aspetta che si decida se è rigore o no – ha detto Giorgetti, giorgettizzando – Dopodiché prenderemo atto, magari protesteremo e ci adegueremo, ma quello che mi sembra molto chiaro è che l’effetto sul debito c’è già eccome”. Risultato: il governo potrebbe usare il pasticciaccio Superbonus per tagliare e privatizzare di più. «Quando avremo il quadro sapremo cosa tagliare per trovare risorse».

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In questa situazione al ministro non è restato altro che mandare una preghiera alla Banca Centrale Europea. Con il ribasso dell’inflazione il taglio dei tassi di interesse, che sarà probabilmente unico per ora, annunciato forse per giugno potrebbe permettere alle casse dello Stato di respirare un po’.

Tra tagli, privatizzazioni e un maquillage dei conti si dovrebbero raggranellare almeno una ventina di miliardi per lasciare le cose come stanno: mantenere il taglio del cuneo fiscale, confermato da Giorgetti. Milioni di lavoratori dipendenti non si ritroveranno senza un centinaio di euro in busta paga. Pagati con il deficit. Cioè con i soldi pubblici.

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L’aleatorietà, l’approssimazione e la confusione in cui si trova il governo Meloni è stata messa sotto il tappeto con l’accordo della Commissione Europea. L’operazione “Def per finta” – ma poi, quale Def non lo è? – sembra sia stata “concordata” con gli stessi custodi di Bruxelles impegnati nei prossimi due mesi a fare anche loro i conti dei voti nelle urne elettorali.

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Si resta in attesa di un successo delle destre alle elezioni europee di giugno, oltre che di un rinvio al prossimo 20 settembre delle scadenza formali previste dalle regole del nuovo patto di stabilita. Dovrebbe essere il tempo necessario per formare una nuova Commissione Ue che Giorgetti e Meloni auspicano più disposta a tollerare trucchi contabili e trattamenti preferenziali. Non è una speranza mal riposta, visto il trattamento di favore riservato nell’ultimo anno dall’esecutivo Von Der Leyen. Ma, con l’arrivo del nuovo patto di stabilità, peggiore di quello in vigore prima del Covid, è tutto da vedere se la scommessa andrà in porto. Potrebbero non mancare colpi di scena.