«La Casa internazionale delle donne è un progetto di libertà e di autonomia». Esordisce così il breve comunicato che invitava alla conferenza stampa tenutasi ieri nella Sala Caminetto di via della Lungara, alla presenza di molte donne e qualche uomo.
Dinanzi al silenzio della giunta capitolina che aveva promesso un incontro con il direttivo della Casa entro la prima metà di giugno, la decisione annunciata è quella di chiedere «alle migliaia che già hanno firmato la nostra petizione e alle tante che continuano, con la loro adesione, a darci la loro forza, di sostenerci anche economicamente con almeno 5 euro. Per questo rilanciamo – attraverso Change.org – la campagna di sottoscrizione». Una scelta maturata all’interno di un contesto complesso di trattative iniziate e poi bruscamente interrotte, molto prima della seduta consiliare del 17 maggio – in cui è stata presentata la mozione Guerrini che insiste sulla chiusura dell’esperienza della Casa internazionale delle donne valutandola manchevole degli obiettivi originari e quindi da riallineare «a più moderne esigenze».
Importante sarà dare seguito all’appello delle amiche del Buon Pastore, sono in tante e tanti che si domandano come aiutare «concretamente»; del resto, anche questo giornale le ha sostenute con i ricavati dell’edizione del 30 novembre scorso. Non bisogna tuttavia perdere di vista il punto politico della vicenda, distinguendolo dall’obiettivo primario della giunta Raggi: ovvero la messa a bando dei servizi in un’ottica che viene chiamata «riallineamento» ma che consiste in effetti nello spianare definitivamente ciò che è la storia della Casa internazionale delle donne, e dunque di un capitolo cruciale del femminismo italiano. In questa deliberata volontà, che non accenna a voler trovare una qualche forma di mediazione o incontro possibile, la posta deve restare sempre il protagonismo di libertà femminile di quella esperienza e non la sua diminuzione a ruolo ancillare o secondo.
Detto questo, con l’avvio della sottoscrizione, le donne del direttivo si mostrano ancora una volta disponibili a pagare, non certo la morosità intera addebitata loro – che non tiene conto delle spese sostenute in questi anni né di quelle relative ai servizi offerti alla cittadinanza – ma ciò che risulta nella memoria presentata ormai mesi fa e dettagliata di cifre, pezze e conti. Ma anche di questa non si hanno notizie di avvenuta lettura da parte del Campidoglio. C’è da sperare che questo disinteresse non diventi un’ignavia imperdonabile ai danni delle donne.